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La filosofia, i miti, lo yoga .... e noi. In viaggio tra Oriente e Occidente alla ricerca di simboli che parlano ancora oggi.

Aggiornamento: 14 set


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articolo di Laura Malavolta


Quando pensiamo al mito, ci viene in mente un racconto antico, quasi una favola. Ma il mito non nasce per intrattenere. Nasce per spiegare l’indicibile.

È il linguaggio che gli esseri umani hanno scelto per dare forma a ciò che non si può misurare con la ragione: il mistero della mente, dell’anima, della vita stessa.

In India, i miti dello yoga raccontano di divinità che non sono mai soltanto “dei” lontani, ma immagini di ciò che vive dentro di noi: Ganesha che rimuove gli ostacoli, Agni che brucia e trasforma, Ganga che scorre e insegna a lasciar andare. Sono storie che non descrivono un mondo esterno: parlano di emozioni, resistenze, possibilità interiori.

In Grecia, accadeva lo stesso. Dietro ad Atena non c’è solo la dea con l’elmo, ma la voce della saggezza che prova a farsi spazio nella nostra testa. In Dioniso non c’è solo l’ebbrezza del vino, ma la forza dell’estasi che ci fa uscire dai nostri confini. E Platone, che pure era filosofo, non rinunciava al linguaggio del mito: l’auriga che deve domare due cavalli – uno chiaro e uno oscuro – è l’immagine più limpida del conflitto che ci abita.

Qui nasce un parallelo sorprendente: per Platone, l’anima è un guidatore che deve tenere a bada le forze contrastanti dei desideri e della ragione. Per gli yogi, la mente è un carro trainato dai sensi, difficile da governare, che solo con la disciplina e l’unione (yoga) può trovare la sua direzione. Due culture lontane, due immagini diverse, ma lo stesso messaggio: siamo esseri divisi e la libertà non sta nello scegliere un lato, ma nell’imparare a guidare l’insieme.

Viviamo immersi in nuove mitologie: la produttività, la performance, la felicità come obiettivo da conquistare. Sono narrazioni moderne, potenti come quelle antiche, ma spesso senza profondità. I miti dell’India e della Grecia invece non chiedono di crederci, ma di riconoscerci. Ci ricordano che le contraddizioni non sono un difetto, ma la materia prima con cui scolpiamo la nostra vita.

Forse è proprio per questo che lo yoga, nato in Oriente, risuona così forte anche in Occidente: non è fatto solo di posture, ma porta con sé una memoria di simboli universali. Ci mette davanti allo specchio e ci dice: non sei lineare, sei complesso, sei molteplice. E se impari ad ascoltare tutte le tue voci, puoi davvero trovare il tuo equilibrio.


Quando l’Oriente incontra l’Occidente

 

la caverna di Platone
la caverna di Platone

Platone ci vede come guidatori di un carro con due cavalli ribelli: uno tira verso l’alto, l’altro trascina in basso. In India, la Katha Upaniṣad dice quasi lo stesso: il corpo è il carro, i sensi sono i cavalli, la mente le redini, l’intelletto il cocchiere. Due mondi lontani, la stessa immagine: la vita è un viaggio e noi spesso non sappiamo guidare.

E Ganesha, con la sua testa d’elefante e il corpo di bambino, sembra aggiungere un consiglio: non fermare i cavalli, trasformali in forza. Gli ostacoli non si cancellano, si cavalcano.


Platone ci regala anche l’immagine della caverna: uomini incatenati che scambiano ombre per realtà. La filosofia indiana parla del velo di Māyā: ciò che vediamo con gli occhi è solo illusione. In entrambi i casi il messaggio è chiaro: la verità non si trova nella superficie, ma oltre. È come il mito del fiume Ganga: divino e impetuoso, poteva distruggere la terra se non fosse stato domato tra i capelli di Shiva. La verità, se non la impari a guardare, ti acceca.

 

E poi c’è Socrate con il suo daimon: non un dio esterno, ma quella voce interiore che lo guidava nelle scelte. Gli yogi parlano dell’antarātman, il sé più profondo, o della coscienza testimone che osserva in silenzio. Due culture, un’unica intuizione: la bussola non è fuori di noi, è dentro.

 


Ardhanārīśvara, la divinità che unisce in un unico corpo Shiva (parte maschile, a sinistra con il tridente) e Pārvatī (parte femminile, a destra con tratti più delicati e il fiore/oggetto rituale in mano).
Ardhanārīśvara, la divinità che unisce in un unico corpo Shiva (parte maschile, a sinistra con il tridente) e Pārvatī (parte femminile, a destra con tratti più delicati e il fiore/oggetto rituale in mano).

Eraclito diceva che il conflitto è padre di tutte le cose: l’armonia non nasce dall’assenza di scontro, ma dal suo equilibrio. Lo yoga insegna la stessa danza: inspirazione ed espirazione, sole e luna, maschile e femminile. Nessuno dei due può vincere, entrambi servono. È l’immagine di Ardhanārīśvara: Shiva e Pārvatī in un solo corpo, metà uomo e metà donna. Non si annullano, si abbracciano.

 

Infine, tanto i pitagorici quanto gli yogi hanno visto nel corpo un piccolo universo. I greci lo chiamavano microcosmo; in India i chakra raccontano la stessa idea, legandoci agli elementi: terra, acqua, fuoco, aria, etere. Ciò che accade dentro di noi è intrecciato a ciò che accade fuori. Nessuna separazione, solo specchi.




Perché ci riguarda ancora


Questi racconti non servono a fare erudizione, servono a ricordarci che le grandi domande sono sempre le stesse: chi siamo, come ci guidiamo, come distinguiamo ciò che è reale da ciò che è illusione.

I miti non chiedono di crederci, ma di riconoscerci. Sono specchi che ci rimandano immagini delle nostre contraddizioni, mappe che ci aiutano ad attraversarle.

Allora, la prossima volta che inspiri ed espiri, pensa a Eraclito: l’armonia nasce dal dialogo tra opposti.

La prossima volta che incontri un ostacolo, pensa a Ganesha: non è lì per fermarti, ma per indicarti una direzione nuova.

E quando ti accorgi che stai fissando solo le “ombre sulla parete”, ricordati della caverna di Platone e del velo di Māyā: forse dietro c’è più luce di quanto immagini.

I miti, antichi o moderni, ci ricordano che non siamo fatti per le linee rette, ma per i percorsi che si intrecciano.


È questo il cuore dei miti: non storie lontane, ma bussole per orientarci nel nostro presente. Nei prossimi mesi porteremo questi racconti sul tappetino, intrecciandoli con la pratica di Yin e Hatha Yoga e con i suoni che li hanno accompagnati fin dall’antichità.

Perché i miti non si leggono soltanto: si respirano, si incarnano, si vivono.



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